venerdì 6 maggio 2016

GIRIAMO PAGINA!



L'attività di questo blog si chiude qui. La nostra riflessione è andata avanti ed è approdata al libro che vedete qui sopra. Al nostro nuovo percorso abbiamo dedicato un nuovo blog. Potete continuare a seguirci lì.

sabato 22 novembre 2014

LA BUSSOLA

Per orientarsi nel nostro blog:
> Qui sotto trovate, in una decina di post, tutto quello che riguarda il nostro progetto.
> Lo stesso materiale lo trovate raccolto nel nostro opuscolo stampabile. Per scaricarvi la versione in pdf, andate QUI.
> Se avete dei commenti da fare, non scriveteli in calce ai post, ma in QUESTA pagina, grazie.
> Nel tempo, aggiungeremo altri documenti relativi alla Demarchia. Li troverete tutti QUI.
> Se volete mettervi in contatto direttamente con noi, QUI trovate tutti i riferimenti necessari.
> Se volete approfondire l'argomento, QUI trovate qualche link (che implementeremo di volta in volta).
> Per seguire i nostri progressi e le nostre attività, la nostra pagina Facebook è: Progetto Bulé.



Nell'illustrazione della testata: si chiama UnBRELLA, ed è stato inventato dal designer giapponese Hiroshi Kajimoto. La sua caratteristica principale è che è praticamente montato al contrario. Ha qualche vantaggio: intanto, si chiude dall’altra parte, così quando si sale in macchina dopo averlo chiuso il bagnato resta dentro e non si inzuppano i pantaloni o il sedile. Poi, quando è bagnato e lo si chiude o lo si riapre, non si lava la gente intorno. Per finire, non avendo le bacchette dentro, non si picchia la testa nei ferretti.
Ma quello che interessa a noi, è che dimostra come anche le cose che abbiamo sempre fatto nel solito modo, possano essere fatte diversamente. E magari funzionano pure meglio.
UnBRELLA è world © h-concept - All rights reserved

LO STATO DELLE COSE


     Ci abbiamo provato.
     In anni giovanili e nella piena maturità. Ci siamo “sporcati le mani” militando in partiti, movimenti e associazioni; partecipando a congressi, assemblee, convegni e competizioni elettorali; organizzando eventi e cortei; andando in piazza, sui giornali, in tivù e su internet. Alla fine abbiamo capito che non serviva a niente.
     Finché la politica sarà ostaggio dei partiti e, soprattutto, di un sistema elettorale solo apparentemente democratico, il cittadino non conterà niente.
     Del resto tutto si gioca sulla legge elettorale, ce lo insegna la storia moderna: se qualcuno ha voluto prendere il potere, la prima cosa che ha fatto è stato cambiare la legge elettorale; lo fece Napoleone, così come Mussolini, tanto per citare due nomi piuttosto significativi.
     Ma per noi la politica è quella di coloro che la fanno in prima persona; per noi la politica deve essere un servizio civile a tempo, che possa uscire quindi  dalla logica dell'eterna campagna elettorale, che inevitabilmente ha come obiettivo non il bene comune, ma solo la rielezione dei candidati e la perpetuazione del potere dei partiti.
     Noi diciamo no a una politica intesa come capacità di manipolazione e come ipocrisia; diciamo invece sì a una politica che sia semplice gestione della cosa pubblica, al fine di migliorare le condizioni di vita di tutti i cittadini.
     La storia ci ha anche insegnato che il professionismo non ha mai giovato alla gestione della cosa pubblica. Tutti ricordiamo le celebri invettive di Petrarca e di Machiavelli contro le milizie mercenarie. Altro tema, si dirà, ma il nocciolo è lo stesso: i professionisti conoscono la tecnica, ma non ci mettono il cuore; i professionisti pensano soprattutto al denaro. Dunque liberiamo la politica dai politici di professione, rendiamole la dignità che ha perso, eliminiamo gli sciacalli e i piranha.
     La natura umana è debole, lo si sa, e non deve esserle data l'occasione di cadere nelle trappole del potere, del denaro e delle amicizie tra potenti.
     Ma come evitarlo? Ve lo spieghiamo qui di seguito.


DEMOCRAZIA, CHI SEI?

     La democrazia è una forma di Stato che, nella versione con parlamento elettivo che conosciamo ai nostri giorni, si è via via affermata in modo particolarmente significativo negli ultimi due secoli.
     Il primo parlamento democratico conosciuto è di fatto un'assemblea, l’Althing, istituita in Islanda nel 930 d.C.; un altro è quello della confederazione delle Cinque Nazioni Civilizzate dei nativi americani. Si tratta dell'alleanza Haudenosaunee che si strinse fra i cinque popoli Irochesi presenti in quella che oggi è conosciuta come la regione dei Grandi Laghi nel Nordamerica. Le nazioni/popoli in questione sono i Cayuga, gli Onondaga, gli Oneida, i Mohawk e i Seneca. Quando si aggiunse alla confederazione la nazione/popolo Tuscarora, l'alleanza prese il nome di Sei Nazioni. Non fu l'unica nel Nordamerica; ci furono anche la Lega degli Huroni (appartenenti alla famiglia linguistica/etnica Irochese) e l'Unione del Creek.
     I Choctaw e i Chickasaw fondarono lungo il corso del Mississippi due floridi stati repubblicani. Avevano uno straordinario interesse per tutti i tipi di civiltà umana; di quella occidentale adottarono solo ciò che era in linea con la loro tradizione culturale. In questo modo dettero vita a una forma sociale unica al mondo, che fondeva gli elementi migliori della democrazia amministrativa, del comunismo economico e della ricerca della libertà individuale.
     Bertrand Russell, nella sua “Storia della filosofia occidentale”, ci ricorda che anche la Chiesa ha conosciuto teorie di governo democratico: “Marsilio da Padova (1270-1342) sostiene che il legislatore dev’essere la maggioranza del popolo, e che la maggioranza ha il diritto di punire i prìncipi. Applica la sovranità popolare anche alla Chiesa, in cui pure il laicato dovrebbe far sentire la sua voce. Dovrebbero esserci concili locali di popolo con la partecipazione dei laici, e in questi concili si dovrebbero eleggere i rappresentanti ai concili generali. (...) Non devono esserci scomuniche senza l’intervento popolare; e il papa non deve avere poteri speciali.”
     Tuttavia, nell'arco di più di due millenni il concetto di democrazia ha vissuto una continua evoluzione, subendo importanti modificazioni nel corso della storia, e non tutte incentrate sulle elezioni. Vediamone qualcuna particolarmente interessante, cominciando dall’antica Grecia e dalle categorie aristoteliche.
     Il filosofo di Stagira distingue fra varie forme di governo: monarchia (governo del singolo), aristocrazia (governo dei migliori) e timocrazia (governo dei censi aventi diritto), che secondo il filosofo rischiavano di degenerare rispettivamente in dispotismo, oligarchia (governo di un'élite), e democrazia (potere del popolo). Nell'antica Grecia la parola democrazia nacque come espressione dispregiativa utilizzata dagli avversari del sistema di governo di Pericle. Infatti kratos, più che il concetto di governo (designato da archìa) rappresentava quello di "forza materiale" e, quindi, "democrazia" voleva dire, pressappoco, "dittatura del popolo" o "della maggioranza". I sostenitori del regime ateniese utilizzavano altri termini per indicare come una condizione di parità fosse necessaria al buon funzionamento di un sistema politico: isonomia (ovvero eguaglianza delle leggi per tutti i cittadini) e isegoria (eguale diritto di ogni cittadino a prendere parola nell'assemblea). Peraltro, a queste forme di eguaglianza si legavano i principi di parresìa (libertà di parola) ed eleutherìa (libertà in genere).


Nell’immagine sopra, il Buleuterio, dove si riuniva il Consiglio chiamato Bulé. In Atene, al tempo di Solone, la Bulé s'adunava nel Oritaneo. Con la riforma di Clistene fu costruito un apposito edificio nell'agorà del Ceramico, mentre i pritani si adunavano nella vicina tholos.


IN PRINCIPIO FU ATENE
     Nel 510 a.C. Atene introdusse un innovativo sistema politico basato sulla partecipazione di tutti alla gestione degli affari pubblici: la democrazia. La paternità della soluzione è storicamente attribuita a un arconte, Clistene, che proseguì e completò il lavoro compiuto quasi un secolo prima da Solone. Con la riforma di Clistene la popolazione venne suddivisa in base al territorio. Le circoscrizioni amministrative sul territorio (demi) erano poste sotto il potere di un capo (demarco). I demi erano raggruppati in trittie e infine queste ultime componevano le tribù. Il governo restava nella mani di nove arconti, questi erano però nominati per sorteggio da una lista di candidati preparata dai demi.
     Le tribù avevano anche il compito di nominare cinquanta rappresentanti per formare un organo collegiale, la Bulé, con funzioni di controllo sulle attività del governo. L'esercito era posto sotto il controllo di uno stratega, anch'esso nominato dalle tribù. L'incarico di stratega era l'unico a non essere affidato tramite il criterio del sorteggio. Pur essendo scelto dalle tribù lo stratega doveva vantare una comprovata esperienza. I cittadini della polis avevano la facoltà di riunirsi in assemblea (ecclesia) per discutere ogni argomento di interesse pubblico, e il potere di sentenziare l'esilio di un singolo cittadino tramite l'istituto dell'ostracismo. L’estrazione a sorte riguardava gran parte di determinate cariche (magistrature) e prescindeva da un’eventuale “misurazione” delle capacità richieste. Gli incaricati erano volontari e, soprattutto, erano passibili di giudizio e di possibili condanne sia durante che al termine del proprio mandato annuale. Alle cariche assegnate per sorteggio se ne affiancavano altre, di tipo elettivo, in genere quelle più rilevanti in cui la competenza era considerata un elemento imprescindibile (dal V secolo quelle dei generali, le più alte magistrature finanziarie, ecc.). In questo caso era prevista la rielezione.
     Nel 425 a. C. prende il potere Pericle, eletto stratega per ben quindici volte. Ciò fa riflettere circa l’eccezionalità delle sue strategie, riconducibile sia alla sua figura di stratega ex apantog (sopra tutti) con più ampi poteri sia in politica interna che estera, sia al suo grande prestigio personale: "...egli era il solo che lasciava dietro di sé un aculeo in chi lo ascoltava…" dice infatti Eupoli. Fu uno dei maggiori apportatori di riforme democratiche, introducendo la mistoforia (remunerazione per chi ricopriva cariche pubbliche); questa forma di “remunerazione per le funzioni pubbliche” non si riferisce ai politici di professione, che nell’antica Atene non esistevano, bensì al pagamento di piccole somme al cittadino comune che veniva scelto per svolgere la funzione di giurato in un processo o che semplicemente partecipava all’assemblea. Erano i poveri a venire incoraggiati dallo Stato a partecipare alla democrazia, tassando le città conquistate o i ricchi. Pericle fu coerente nel perseguire la reale partecipazione politica dei ceti bassi, anche mediante l’elevazione del livello culturale del popolo ateniese. Inoltre diede impulso a una forte politica sociale. Ai suoi tempi l’assemblea era sovrana e i membri del Consiglio dei Cinquecento “restavano in carica per un anno e si poteva entrare a farne parte solo due volte nel corso della vita. Anche quasi tutte le magistrature erano ricoperte da persone scelte a sorte”. (Moses Finley, “L'economia degli antichi e dei moderni”, Laterza, 2010).

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
(Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.) 

LEX ROMANA
     Se non nel governo, almeno nei compiti della magistratura anche Roma presentava alcune interessanti caratteristiche.
     Per cominciare, le magistrature della repubblica romana si distinguevano per varie caratteristiche: elettività, annualità, collegialità, diritto di veto e responsabilità. In particolare l'annualità derivava dal timore che la gestione di una carica, protraendosi oltre un anno, potesse indurre chi l'occupava a crearsi, come oggi si direbbe, una situazione di potere tale da costituire un pericolo per la libertà degli altri cittadini. Naturalmente la limitazione della carica a un anno poteva portare di conseguenza che un magistrato non potesse condurre a termine un'opera per la quale egli era particolarmente adatto: a tale inconveniente si poneva talvolta rimedio col concedere al console e al pretore di continuare le sue funzioni, anche dopo deposta la carica, con la qualifica di proconsole o propretore.
     La collegialità, cioè il dover gestire una carica non da solo, ma insieme con uno o più colleghi, era un'altra limitazione del potere di un magistrato, derivante anch'essa dalla preoccupazione che chi governava da solo, senza controllo, potesse abusare della carica a danno dei singoli cittadini.
     Connesso con la collegialità era il diritto di veto, pur esso diretto a limitare il potere dei pubblici magistrati. Infatti, quando un magistrato non approvava l'azione del suo collega poteva fermarne l'esecuzione opponendo il suo veto; il che poteva causare la paralisi di ogni attività. Per rimediare a tale inconveniente i magistrati o comandavano a turno (un mese l'uno, un mese l'altro) oppure si ripartivano i compiti da eseguire in modo che nessuno fosse di ostacolo all'altro. Un magistrato non poteva essere deposto dalla carica prima che scadesse il tempo stabilito per la sua durata e, sebbene potesse essere processato per comportamento illecito, ciò in pratica non accadeva mai. Uscito però di carica, il magistrato tornava a essere un cittadino qualunque e poteva quindi essere chiamato in tribunale a rendere conto di quanto aveva operato durante la carica.

LA SORTE TRA I CANALI
     L’uso del sorteggio lo ritroviamo a Venezia all’epoca delle Repubbliche Marinare.
     Il Doge, supremo magistrato della Repubblica, era eletto a vita e la sua elezione avveniva con un complicatissimo sistema di votazioni e ballottaggi (estrazioni a sorte), seguito dall'incoronazione davanti al popolo.
     L'aristocrazia veneziana era una categoria sociale relativamente aperta: a essa si poteva accedere per grandi meriti e servigi offerti alla Repubblica. In pochi casi, per rimpinguare le finanze in tempo di guerra, la Repubblica vendette l'iscrizione al "libro d'oro" dell'aristocrazia. L'aristocrazia non era solo una classe di privilegiati, ma anche di servitori professionisti dello Stato, educati nell'università di Padova. Infatti i nobili veneziani lavoravano nell'amministrazione anche come segretari di ufficio, contabili, capitani di porto, e anche giudici.
     Per impedire il concentrarsi del potere in poche mani, garantire un certo ricambio e consentire al maggior numero di aristocratici di avere un impiego, tutte queste cariche erano di breve durata, spesso di un solo anno. Erano sovente mal pagate, tanto che molti nobili sopravvivevano grazie all'assistenza pubblica per gli aristocratici poveri.

> La democrazia ateniese (...) era, sotto certi aspetti, più democratica di qualsiasi sistema moderno. I giudici e la maggior parte del dei funzionari del potere esecutivo erano estratti a sorte ed effettuavano il servizio per brevi periodi: essi erano quindi cittadini medi, come i nostri giurati.
> Oltre ai re, al Consiglio degli Anziani e all’Assemblea, vi era un quarto braccio governativo, peculiare di Sparta. Erano i cinque èfori. Questi venivano scelti tra l’intera cittadinanza con un metodo che (...) era praticamente l’estrazione a sorte. Gli efori erano la suprema corte civile, ma sopra i re avevano anche la giurisdizione penale.
> Il concetto di democrazia era sotto molti aspetti più radicale del nostro: per esempio Aristotele dice che eleggere i magistrati è un modo di procedere oligarchico, mentre è democratico tirarli a sorte. Nelle democrazie radicali, l’assemblea dei cittadini era al disopra della legge, ed era pienamente libera di decidere ogni questione. I tribunali ateniesi erano composti d’un gran numero di cittadini scelti mediante sorteggio e non guidati da nessun giurista.
(Bertrand Russell, “Storia della filosofia occidentale”)
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Nell'immagine qui sopra, Bertrand Russell nell’interpretazione di Normal Rockwell

ELIMINIAMO I PARTITI!


> L’idea di partito non rientrava nella concezione politica francese del 1789, se non come quella di un male da evitare. Ma giunse il momento del club dei giacobini. Era questo, inizialmente, soltanto un luogo di libera discussione. A trasformarlo non fu una qualche specie di meccanismo fatale: fu soltanto la pressione della guerra e della ghigliottina a farne un partito totalitario. Le lotte tra fazioni nel periodo del terrore furono governate dal pensiero così ben formulato da Tomskij: “un partito al potere e tutti gli altri in prigione”.
Così, sul continente europeo, il totalitarismo è il peccato originale dei partiti.
Furono da un lato l’eredità del terrore, dall’altro l’influenza dell’esempio inglese a insediare i partiti nella vita pubblica europea. Il fatto che esistano non è in alcun modo un motivo per conservarli.

> (...) bisogna innanzitutto riconoscere quale sia il criterio del bene. Non può essere rappresentato che dalla verità, dalla giustizia e, in seconda battuta, dall’utilità pubblica.
La democrazia, il potere della maggioranza, non sono un bene. Sono mezzi in vista del bene, stimati efficaci a torto o a ragione.

> Per raggiungere questo fine (rendere la verità e la giustizia materialmente più forti del crimine e dell’errore, NdR) è necessario un meccanismo adatto. Se la democrazia costituisce tale meccanismo, è buona. Altrimenti no.

> La (...) condizione è che il popolo sia chiamato ad esprimere il proprio volere riguardo ai problemi della vita pubblica, e non solamente a operare una scelta di persone.
Meno ancora la scelta di collettività irresponsabili. Poiché la volontà generale non ha alcuna relazione con una scelta di questo genere.

> (...) non abbiamo mai conosciuto nulla che assomigli, neppure da lontano, a una democrazia. Nella cosa a cui attribuiamo questo nome, in nessun caso il popolo ha l’occasione o i mezzi per esprimere un parere su alcun problema della vita pubblica.

> Come dare realmente agli uomini (...) la possibilità di esprimere, talvolta, un giudizio sui grandi problemi della vita pubblica? Non è facile concepire delle soluzioni. Ma è evidente, dopo un attento esame, che qualunque soluzione implicherebbe innanzitutto la soppressione dei partiti politici. 
Per apprezzare i partiti politici secondo il criterio della verità, della giustizia, del bene pubblico, conviene cominciare distinguendone i caratteri essenziali. è possibile elencarne tre:
- un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva.
- un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte.
- il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite.
Per via di questa (...) caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno.

> Un partito è, in linea di principio, uno strumento destinato a servire una certa concezione del bene pubblico. Questo fatto è vero anche per quelli che sono legati agli interessi di una categoria sociale, poiché esiste sempre una certa concezione tra il bene pubblico e quegli interessi. Ma è una concezione estremamente vaga. Questo è vero senza eccezione e quasi senza differenza di grado. I partiti più inconsistenti e quelli più rigidamente organizzati sono identici quanto a vaghezza della dottrina.

> Quando in un paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. Chiunque si interessi alla cosa pubblica desidera interessarsene efficacemente. Cosi, chiunque abbia un’inclinazione a interessarsi al bene pubblico o rinuncia a pensarci e si rivolge ad altro, o passa dal laminatoio dei partiti. Anche in questo caso sarà preso da preoccupazioni che escludono quella per il bene pubblico.

> (...) il meccanismo di oppressione spirituale e mentale proprio dei partiti è stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta contro l’eresia. (...) La riforma e l’umanesimo rinascimentale (...) hanno largamente contribuito a formare, dopo tre secoli di maturazione, lo spirito del 1789. Ne è risultata, dopo un certo intervallo, la nostra democrazia fondata sul gioco dei partiti, ognuno dei quali è una piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica.

> La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. è perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi.

(da: “MANIFESTO PER LA SOPPRESSIONE DEI PARTITI POLITICI” di Simone Weil, pubblicato per la prima volta nel numero 26 del 1950 della rivista francese La Table Ronde; scaricabile in rete QUI)


Simone Adolphine Weil 
(Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943)
E' stata una filosofa, mistica e scrittrice francese, la cui fama è legata, oltre che alla vasta produzione saggistico-letteraria, alle drammatiche vicende esistenziali che ella attraversò, dalla scelta di lasciare l'insegnamento per sperimentare la condizione operaia, fino all'impegno come attivista partigiana, no-nostante i persistenti problemi di salute. Sorella del matematico André Weil, fu vicina al pensiero anarchico e all'eterodossia marxista. Ebbe un contatto diretto, sebbene conflittuale, con Lev Trotsky, e fu in rapporto con varie figure di rilievo della cultura francese dell'epoca. 

ELEZIONI, UNA FAVOLA MODERNA


C'era una volta un Reame di cui non ricordo il nome.
Gli abitanti di quel posto, per scegliere i propri governanti, avevano costruito un grande edificio chiamato Castello Elettorale. Vi si poteva entrare solo a bordo di  un Carro. Ce n’erano di grandi e piccoli, tutti chiamati Carri delle Idee, perché per convincere più persone possibile a dare una mano a costruirlo e salirci sopra, ciascun gruppo prometteva qualcosa a chi aiutava. Alcuni promettevano di difendere sempre la Patria e di educare i ragazzi a suon di bacchettate sulle mani e sul sedere; altri giuravano che una volta conquistato il Trono avrebbero tolto i soldi ai ricchi per darli ai poveri; altri promettevano droghe libere o aiuti per i mercanti. E ognuno riempiva il proprio carro di bandiere dai colori accesi.
All’interno del Castello, in un grande piazzale, c’era una Pesa Pubblica sulla quale salivano a turno i Carri. Gli occupanti del Carro che risultasse pesante quanto tutti gli altri messi insieme più un chilo, avevano il diritto di nominare il Re e i suoi Cortigiani.
  Naturalmente, ogni gruppo cercava di costruire il Carro più grosso e pesante, e di farci salire sopra quante più persone era possibile. Nonostante gli sforzi di tutti, nessun carro riusciva a raggiungere il peso necessario.
In un primo tempo, per ovviare a questo problema, si stabilì che, dopo la Pesa, i Carri si potevano accordare e sommare il loro peso fino a raggiungere quello occorrente; gli occupanti dei Carri alleati sceglievano poi insieme il Re e i Cortigiani.
Col passare del tempo, questo sistema si dimostrò sempre meno efficace: i piccoli carri, indispensabili per raggiungere il peso richiesto, diventavano sempre più prepotenti e pretendevano di scegliere addirittura il Re.
Si pensò così di cambiare le regole: i gruppi disposti ad allearsi tra loro dovevano accordarsi fuori dal Castello ed entrarvi a bordo di un unico Carro, detto di Coalizione. Si decise anche di eliminare alla radice il problema dei piccoli Carri prepotenti imponendo un peso minimo da raggiungere per poter partecipare alla competizione.
Questo portò a una conseguenza inevitabile: a gareggiare rimasero solo due, giganteschi Carri. Nonostante ciò, ancora una volta i risultati non furono quelli sperati: anche se finalmente si riusciva a mettere insieme Carri di Coalizione del peso necessario, appena terminata la Pesa i diversi gruppi che componevano il Carro vincitore cominciavano a litigare fra di loro, rendendo impossibile qualsiasi attività di governo. Come se non bastasse, la litigiosità dei vari gruppi rendeva necessario ricorrere sempre più spesso a nuove Pese. E non era neanche il peggiore dei problemi: gli organizzatori dei Carri, infatti, ben sapendo che per raggiungere i posti di comando che consentivano loro di arricchirsi (molti, spesso rubavano direttamente dalle Casse del Tesoro) dovevano vincere la gara della Pesa Pubblica, non impiegavano tutte le loro forze e ingegno nella ricerca di soluzioni per i problemi del Reame, ma solo nello studio di metodi, alleanze e trucchi per poter battere gli avversari alla successiva competizione.
Il Reame, privo di una reale guida, andava sempre più in malora.
I sudditi, che per lungo tempo avevano creduto alle parole e alle promesse degli Organizzatori dei Carri, a un certo punto cominciarono in gran numero a rendersi conto della situazione. Sentendosi presi in giro, smisero di avere fiducia nei Carri delle Idee.
Gli Organizzatori se ne accorsero, e inventarono i Carri delle Persone: visto che le Idee non contavano più niente, misero di volta in volta alla guida dei vari Carri il Tale e il Tal Altro. Questi, pur continuando a lanciarsi ancora in promesse sempre più mirabolanti, si affidavano soprattutto al proprio fascino personale per conquistare i sudditi. Per qualche anno la nuova strategia funzionò. I Carri venivano costruiti e si riempivano di gente, senza che questo cambiasse però in alcun modo le cose.
Alla sera, nelle osterie e nelle taverne, i sudditi tornarono a mugugnare con sempre maggior forza e convinzione: la colpa era degli Organizzatori dei Carri! Erano tutti bravi a parlare quanto a rubare, ma nessuno si occupava davvero dei problemi del Reame!
Un Giullare, che in passato era stato al servizio di più d’un Re, cominciò a fare il giro di quei locali. Saliva su un tavolo o su un bancone ripetendo quelle stesse cose. Conosceva il suo mestiere, e le sue esibizioni ebbero un gran successo. La gente rideva e la rabbia cresceva. Erano così tanti quelli che ormai lo ascoltavano e correvano alle taverne dove sapevano che avrebbe parlato, che il Giullare un bel giorno pensò che forse si poteva organizzare un Carro dei Sudditi. E, in questo modo, far piazza pulita di tutta la congrega dei Professionisti dei Carri, bugiardi e ladri.
Sull’onda dell’entusiasmo popolare il suo Carro riuscì a pesare un terzo del totale, ma non servì a niente: gli altri due Carri, anche se si erano osteggiati fino al giorno prima della Pesa, si allearono e ancora una volta decisero loro chi sarebbe stato il Re.
Il Giullare capì che se voleva batterli, doveva riuscire a mettere insieme un Carro che pesasse come gli altri due insieme più un chilo, e alla successiva Pesa, per convincere più persone possibile, cominciò a promettere tutto e il contrario di tutto. Senza risultato.
I sudditi si erano resi conto che anche lui era diventato come gli altri, e che non era questione di Idee, né di bandiere, di Carri o di Organizzatori: il problema era proprio il Castello Elettorale. Finché il Re e i Cortigiani fossero stati scelti col sistema della Pesa Pubblica, niente sarebbe cambiato.

EPILOGO
Così alcune persone, armate di mazzuolo e scalpello, andarono sul retro del Castello e cominciarono a scalzare via una dopo l’altra le pietre con cui era costruito. Per demolirlo completamente ci sarebbe voluto molto tempo, ma alla fine ci sarebbero riusciti. E, intanto, potevano cominciare a pensare a un sistema diverso e più efficace per scegliere chi doveva governare il Reame.
Una sera, dopo aver mazzuolato tutto il giorno, mentre si rilassavano giocando a tombola, tirando fuori i numeri dal sacchetto uno di loro si illuminò in volto e disse: “Sapete? Forse mi è venuta un’idea...”

DEMOCRAZIA A SORTE


     E' venuto il momento di superare la democrazia rappresentativa, che ha fallito.
     Quella che chiamiamo democrazia, forse lo è solo nel senso dispregiativo che ebbe agli inizi in Grecia (v. pagina 4); infatti è ormai definitivamente degenerata in una “dittatura oligarchica” - quando non addirittura personalistica - nella quale è saltato ogni possibile rapporto di fiducia tra governati e governanti. Per non parlare dei partiti, ridotti a zombi che non accettano di essere morti e continuano ad aggirarsi nel panorama politico nutrendosi dei cervelli delle persone.
     E' dunque ora di approdare finalmente a una vera democrazia, o meglio a una demarchia (governo del popolo) che, come ai tempi della polis ateniese, si fondi sull’estrazione a sorte. Come si vede, la soluzione è a portata di mano e la storia ci insegna: partiti? Corruzione? Sete di potere? Professionisti della politica? Tutto cancellato con un colpo di spugna! Basta tornare alle origini e dare, ridare al popolo, tutto il popolo, il potere di decidere. Accompagnando al sorteggio il carattere della temporaneità e della rotazione degli incarichi. Un diritto per tutti, un dovere di tutti.
E' così che le generazioni future dovranno percepirlo: come un sacrosanto diritto, sì, ma anche e forse soprattutto come un dovere, talvolta pesante, sicuramente impegnativo, come la naja di una volta o il compito a cui ancor oggi i giudici popolari sono chiamati. Un momento particolare della propria vita. Niente di clamoroso, niente  che faccia insuperbire. Semplicemente un periodo di servizio allo Stato, cioè a sé stessi. Scomparirebbero così le pompe magne, l’arroganza, le scorte, i lussi, le ruberie.
  Che c’è di più semplice? Oggi la tecnologia, con la rete, tra l’altro ci facilita in questo progetto perché ci consente di affiancare alla Bulé di estratti a sorte la partecipazione alle decisioni più importanti di una Ecclesia che può arrivare a comprendere, oggi sì, veramente tutti i cittadini.
  Come avete visto nelle pagine precedenti, il sorteggio in politica è tutt’altro che una novità. Già Montesquieu, ne “L’Esprit des lois”, indica la natura costitutivamente democratica dell’estrazione a sorte a fronte di quella aristocratica delle forme rappresentative. L’estrazione, secondo il grande ideologo, previene l’invidia e conferisce a ogni cittadino “una probabilità ragionevole di esercitare una funzione pubblica”. Rousseau, poi, ne “Il Contratto sociale” sostiene che l’estrazione a sorte è preferibile alle elezioni in quanto consente di prendere decisioni senza che interferiscano volizioni particolari, dunque attenuando forme di “corruzione”.
  Interessante, a latere, è anche l’opinione di Pierre Bourdieu sul carattere artificioso dell’opinione pubblica ridotta a “opinione sondata”. Anche perché sono i tratti della personalità – di una personalità mediatizzata – amplificata a dismisura dai nuovi media, in particolar modo dei leader, a determinare le opzioni elettorali.
  Bernard Manin in “Principi del governo rappresentativo” (2010) ci ricorda che “Dall'Atene antica a Montesquieu, da Aristotele a Rousseau, nessuno ha mai considerato le elezioni strumento democratico per eccellenza. La migliore espressione della democrazia è stata vista, semmai, nell'estrazione a sorte, garanzia di rigorosa uguaglianza. Per converso, esiste un'irriducibile componente aristocratica nel governo rappresentativo dei moderni, in origine ritenuto sostanzialmente diverso dalla democrazia.” Sostiene poi che: “(...) i rappresentanti non possono mai affermare con piena fiducia e certezza: "noi siamo il popolo"” e aggiunge: “sia l’autogoverno del popolo, sia la rappresentanza assoluta hanno come effetto l’abolizione della di-stanza fra coloro che governano e coloro che sono governati”.
  Sul sito www.homolaicus.com, parlando del libro di Hans Hermann Hoppe, “La democrazia, il dio che ha fallito”, Filippo Matteucci scrive che il titolo dell’opera “è arbitrario se applicato al significato essenziale del concetto di "democrazia" (...). Il fallimento nelle intenzioni di rendere il popolo sovrano è caso mai ascrivibile alla democrazia elettiva, delegata. E questo non stupisce di certo. Da che mondo è mondo, chi delega potere, perde potere. Negli ultimi due secoli il popolo non è stato mai sovrano. Semplicemente una borghesia di bassa qualità e spesso dedita a traffici criminali ha tolto il potere ai re e ai nobili che lo detenevano in precedenza. Questo ha significato un regresso di civiltà, un peggioramento della qualità dei governanti. Se la qualità di governanti, di monarchi e aristocratici era talvolta mediocre, la qualità di governanti dimostrata dai modern days kings, ovvero dalle famiglie della grande imprenditoria e della criminalità organizzata, è conclamatamente infima, peggiore. Il popolo, in questo passaggio di potere dall'aristocrazia ai dominanti di oggi, ha svolto o l'imbelle ruolo di spettatore passivo, o quello di marionetta di rivoluzioni e manifestazioni di piazza, marionetta di cui altri tiravano i fili. Si può quindi parlare di fallimento della democrazia nel senso di fallimento della democrazia elettiva, delegata. La tanto sbandierata democrazia elettiva è solo forma, fumo che nasconde una dura sostanza fatta di tirannie oligarchiche prive di ogni virtù, che controllano tutto, anche la mente della gente. I parlamenti altro non sono stati che ben nutriti assembramenti di maggiordomi e lacchè dei padroni del momento, più che di zelanti e diligenti rappresentanti del popolo. Le tecniche di nomina dei parlamentari, dal voto di scambio alla socializzazione dei costi del consenso, sono state appositamente studiate per ottenere questo risultato, per far permanere il potere nelle mani delle famiglie dominanti.”
Possiamo aggiungere, in chiusura di questa sezione, che anche in politica si dovrebbe forse applicare il famoso principio del “rasoio di Occam” formulato nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano inglese William of Ockham: “E' inutile fare col più ciò che si può fare col meno”, che suggerisce l'inutilità di impelagarsi in metodologie complicate e disfunzionali come quelle della democrazia elettiva, se per ottenere lo stesso risultato è sufficiente un sistema più semplice come quello dell’estrazione a sorte.

Ma la soluzione c’è. Si chiama estrazione a sorte. Ha il vantaggio di eliminare i costi delle campagne elettorali, di riportare le città a una normalità estetica (anche l’occhio vuole la sua parte). I cittadini per partecipare dovrebbero avere alcuni requisiti minimi, come la residenza, la maggiore età, la fedina penale pulita, non avere processi in corso, non essere mai stati sorteggiati in precedenza, una competenza di base sull’argomento per cui si propongono. Le mamme incensurate potrebbero candidarsi per l’assessorato alla famiglia, i medici per la salute, i vigili urbani e i tassisti per il traffico, i responsabili di condominio per la carica di sindaco. L’estrazione dovrebbe essere gestita da un pool di magistrati con la consulenza di Collina. Avremmo dipendenti al posto di politici, politica al posto di interessi personali. C’è un comune in Italia che vuole provarci? Batta un colpo! 
Beppe Grillo

“Se le riunioni di quartiere eleggeranno i delegati, si potrà essere certi che questi rappresenteranno le opinioni della maggioranza.”
Gail rimase allibita. “E le opinioni della minoranza? Chi le rappresenterebbe?”
Endecott tagliò l'aria con un gesto impaziente. “Oh, be', la minoranza dovrebbe comunque ottenere dei delegati. E nessuno le impedirebbe di diventare magggioranza a sua volta. Non vedo perché dovrebbe essere un problema. Alla fine tutto si aggiusta, come hai detto tu per il sorteggio.”
“Ma è ridicolo. Questo è completamente diverso” controbatté Gail. “Tirare a sorte è equo, anche se a volte può uscire un risultato anomalo. Con le elezioni non fai che creare il problema della minoranza, e non solo quello. Partiti, soldi, notorietà, corruzione, tanto per dirne alcuni. Che possibilità rimarrebbero alla gente comune, che possibilità avremmo di farci ascoltare, di contare davvero? Le elezioni non hanno nulla di democratico, anzi, sono chiaramente anti-democratiche. E questo lo sanno tutti.”
(da “Luce nera” di Ken MacLeod, Mondadori, aprile 2009)