venerdì 21 novembre 2014

PENSIERI, PAROLE E PRATICA

     La demarchia è una forma di democrazia, alternativa alla democrazia elettiva, in cui lo stato è governato da comuni cittadini estratti a sorte. Era il principale metodo di governo dell’antica Atene, così come di molte città-stato italiane del primo Rinascimento. Al contrario delle elezioni, le quali erano conosciute per la loro tendenza ad avvantaggiare la classe aristocratica, il sorteggio estirpava alla radice il rischio che individui con troppo potere e carisma potessero facilmente ignorare i reali interessi delle classi più deboli. Esempi storici del suo uso però sono rari e poco studiati. Ancora oggi, nonostante la vistosa crisi di credibilità della classe politica, non ci sono virtualmente discussioni sull’argomento e le informazioni che una persona interessata può trovare sono carenti. È per cercare di colmare queste lacune che abbiamo creato questo sito. Ci sono molte ragioni per credere che il sorteggio, se usato in modo corretto, abbia le potenzialità di risolvere molti dei problemi e delle contraddizioni di cui soffrono le attuali democrazie e di rendere il popolo realmente sovrano. In una demarchia ogni cittadino, indipendentemente da razza, sesso, religione ed estrazione sociale, ha la stessa probabilità di essere sorteggiato e poter dare il proprio contributo alla società. È un sistema in cui gli interessi dei singoli cittadini, indipendentemente dalla provenienza, valgono veramente qualcosa, dove sono loro a prendere le decisioni. In modo diretto. Nelle democrazie attuali, al contrario, il potere dei cittadini è solo simbolico. Trasmesso ai rappresentanti che poi, il più delle volte, seguono gli interessi propri, di chi li finanzia o di chi in un modo o nell’altro ha il potere di farli rieleggere. Questi interessi purtroppo corrispondono solo raramente a quelli degli elettori, che hanno informazioni e scelte di voto troppo limitate per poter veramente influenzare le decisioni prese. Se inizialmente l’idea di lasciare al caso scelte così fondamentali può sembrare assurda, questa preoccupazione risulta infondata di fronte a un’analisi più approfondita. 
     La legge dei grandi numeri ci dice che un organo sorteggiato, se sufficientemente numeroso, rispecchierà le opinioni della popolazione con buona approssimazione. Verosimilmente molto di più di quanto non avvenga nel caso di un organo eletto, visto che anche il risultato del voto è influenzato da numerosi fattori casuali, i quali pur essendo anch’essi molto imprevedibili sono, in parte, manipolabili. Un’altra frequente preoccupazione riguarda le inadeguate competenze del cittadino medio nelle materie sulle quali si troverà a prendere decisioni. Il cittadino sorteggiato dovrà appoggiarsi a esperti esterni per guidare le proprie decisioni. Questo avviene, o dovrebbe avvenire, anche per i politici attuali oltre che per i cittadini, i quali votano un politico del cui operato e giudizio si fidano, almeno idealmente. 
     La demarchia è quindi un sistema perfetto che risolverà tutti i nostri problemi? Forse no, ma solo una discussione schietta e una analisi approfondita e plurale potrà svelarci qualcosa sulle sue reali potenzialità.
     La realistica possibilità che possa veramente funzionare meglio, che possa riuscire a risolvere anche solo alcuni dei problemi strutturali che affliggono le attuali democrazie, dovrebbe essere motivo sufficiente per non lasciare che il tema rimanga inesplorato. 
(http://blog.demarchia.info/)



Ecco un saggio che mi ha davvero colpita: "Democrazia in diretta", edito da Feltrinelli e scritto da Nadia Urbinati. Un'italiana che insegna Teoria politica alla Columbia University. Un libro che parte dall'Atene classica per arrivare ai giorni nostri. Una storia della democrazia come sistema di governo delle crisi, di quei momenti storici in cui il popolo, il cittadino o una classe sociale chiedono una redistribuzione del potere politico ed economico.
(...) La vera democrazia non può accettare la professionalizzazione della politica e deve offrire solo incarichi temporanei. A tale proposito, il mantra ricorrente è quello del candidato "esperto, competente". E sei poi si tratta di un "corrotto"? Non sarebbe meglio un "neofita onesto"? Gli ateniesi usavano il sorteggio per eleggere i componenti dell'Assemblea, il massimo organo di governo della città-stato. E noi? Come possiamo eleggere persone che siano interessate soltanto al bene comune e non alla propria poltrona?
(José Rallo, rubrica su Huffington Post)



    A chi, deluso e affranto, (...) è pronto a buttare il bambino con l’acqua sporca, mandando tutti e tutto al diavolo, rispondo con la spinta positiva che comunque arriva dall’Islanda. Da chi ha deciso di partecipare alla redazione della Costituzione con forme inedite di democrazia, sino a chi propone il sorteggio a sorte dei candidati in occasione delle elezioni, come il movimento di Kristinn Már Ársælsson. Prendendo in prestito le parole di Maurizio Tani, un ottimo osservatore in quanto italiano che vive e lavora da oltre 10 anni a Reykjavik, c’è da rilevare che la rivoluzione islandese si è concretizzata “nel lavorio di rafforzamento della collettività che viene fatto, da sinistra e da destra (…) con forme che potrebbero scandalizzare un italiano ma che qui sono normali.” Come essere cittadini del mondo “rispettosi dei diritti di tutti”, ma amando al contempo “la propria terra” e curandone “l’identità (lingua, cultura, storia, monumenti)”.
(Ferro Ferrarese, “L’Islanda nella trappola dell’Unione Europea”, blog Teste Libere)



     Nel 2009, un anno dopo l’esplodere della crisi finanziaria che aveva messo in ginocchio l’economia islandese, le organizzazioni della società civile avevano preso l’iniziativa di istituire un’assemblea (con maggioranza sorteggiata su base casuale) per discutere e sviluppare suggerimenti in vista di una riforma costituzionale. A giugno del 2010 il Parlamento islandese, l’Althing, aveva approvato la legge 90/2010, che istituiva un’assemblea costituzionale consultiva cui veniva attribuito l’incarico di revisione della Costituzione. L’obiettivo era quello di coinvolgere i cittadini nell’elaborazione di una nuova Costituzione, in parte con il metodo del crowdsourcing. A tal fine erano state create due istituzioni: un forum nazionale composto da 950 cittadini islandesi, perlopiù estratti a sorte, che si pronunciò d’accordo sulla necessità di una nuova Costituzione; e un consiglio costituzionale di 25 membri, eletti con suffragio universale. A parlamentari ed esponenti di partiti politici, però, non era stato permesso di candidarsi, cosicché tra i 25 membri eletti del consiglio non c’era nessun politico di professione. Il consiglio ha approvato la nuova Carta costituzionale dopo averne discusso direttamente con gli islandesi via Facebook e Twitter.
     Gli islandesi si sono affidati all’estrazione a sorte come strategia di selezione alternativa alle elezioni per scegliere i membri dell’assemblea che avrebbe discusso le proposte di riforma costituzionale (ma hanno indetto un’elezione per scegliere invece i componenti del Consiglio Costituzionale vero e proprio). (...) Il sorteggio è una particolarissima forma di selezione associata alla democrazia fin dall’antichità perché, contrariamente alle elezioni, rappresenta un metodo di selezione del personale pubblico dal carattere autenticamente egualitario. Il sorteggio non divide l’insieme dei cittadini tra i pochi che decidono in merito alle leggi e i molti che le votano, ma attua invece il principio democratico per cui tutti dovrebbero avere la possibilità di governare ed essere governati a turno e senza discriminazione di capacità. Dopo le repubbliche umaniste italiane (che ne fecero un uso massiccio), il metodo del sorteggio è scomparso dalla politica (ma non dalla pratica giuridica), spianando la strada alla modalità elettorale di selezione. Oggi, in concomitanza con la crisi dei partiti e il ricorso di massa a Internet, il metodo del sorteggio pare ritrovare la sua utilità.
(Nadia Urbinati, “La crisi europea tra populismi  e nuove costituzioni”
su Reset, 8 aprile 2014) 




In un’intervista al Corriere della Sera, il Principe dei cantautori italiani racconta tutta la sua delusione per la politica, delusione che lo ha spinto a decidere di non votare più. “Alle ultime elezioni - spiega Francesco De Gregori - ho votato Monti alla Camera e Bersani al Senato. Sono contento di come è andata? No. Oggi non so cosa farei. Probabilmente non voterei. Con questo sistema, tanto vale scegliere i parlamentari dall'elenco del telefono”.



     E se invece di votarli, i parlamentari li estraessimo a sorte? Mi rifaccio qui ad un paio di notizie lette negli ultimi mesi. La prima notizia è la nascita del Partito Lotteria, che ha già un suo efficacissimo slogan: Siam pronti alla sorte.
     L’obiettivo è la democrazia pura: se a scegliere le candidature non è il giudizio dell’uomo, ma il fato, si può raggiungere statisticamente la rappresentazione più completa della popolazione.
     Il Partito Lotteria non dispone di un programma e non vuole averlo. Una volta diventati parlamentari, si può decidere di fare qualsiasi cosa.
     Si rifanno alla democrazia ateniese di Clistene e a quella della Repubblica Marinara di Venezia e sul loro profilo Facebook non mancano riferimenti a situazioni simili già in atto in altri Paesi.
     La seconda notizia è la pubblicazione di un libro, “Democrazia a sorte”, che si rifà ad uno studio portato avanti da alcuni ricercatori dell’Università di Catania. Anche loro citano la democrazia ateniese e anche loro riportano un caso molto recente di democrazia diretta, ossia ciò che è successo in Islanda.
     La conclusione principale di “Democrazia a sorte” è che parlamentari indipendenti approverebbero meno leggi rispetto a parlamentari appartenenti a partiti politici, i quali farebbero più in fretta perché si devono limitare a seguire le indicazioni del partito cui appartengono. Le leggi approvate dai primi sarebbero però più efficienti, proprio perché formulate da cittadini finalizzati al bene comune e non al bene del partito.
(Gaberr, www.abcinteractive.it)



     Il Partito Lotteria si ispira ai valori politici della demarchia. Crede che il governo del Paese debba essere garantito da cittadini estratti a sorte nel solco della tradizione democratica ateniese di Clistene e della Repubblica Marinara di Venezia.
     Il Partito Lotteria crede che il metodo dell’estrazione casuale sia l’unico in grado di garantire la migliore rappresentanza statistica e politica della popolazione in quanto non suscettibile alle distorsioni proprie della democrazia elettiva.
     Il Partito Lotteria nasce per migliorare la condizione economica dei propri eletti scelti in modo trasparente attraverso la tecnica del sorteggio.
Partito Lotteria. Contatti: Segreteria (dott.ssa Vivacqua), segreteria@partitolotteria.org
Ufficio organizzativo, organizzazione@partitolotteria.org
Ufficio stampa, stampa@partitolotteria.org
Comunicazioni generali, info@partitolotteria.org



     Una serie di scandali nel mondo politico e nel mondo finanziario in Estonia ha dato il la a una novità interessante, che l'opinione pubblica ha apprezzato. Il presidente Toomas Henrik ha deciso di convocare una riunione con rappresentanti dei partiti politici e della società civile, oltre a vari opinion leader. Il presidente, dopo la tavola rotonda, ha annunciato a sorpresa che per tre mesi, fino a marzo, i cittadini parteciperanno alla scrittura di una nuova regolamentazione della vita politica: elaboreranno loro le leggi.
     Da un paio di giorni è online il sito Rahvakogu.ee (“Assemblea dei cittadini”), sul quale i cittadini estoni possono analizzare nei dettagli l’attuale legge elettorale e sui partiti e, soprattutto, possono proporre emendamenti. Il quotidiano Postimees spiega le ragioni di questa scelta innovativa: "Non c’è bisogno di essere un politologo o un giurista. I testi sono presentati nel modo più semplice possibile".
     I cittadini possono fare proposte concrete per un mese sul mondo del lavoro, sul finanziamento pubblico dei partiti politici e sulla legge elettorale. Urmo Kübar, direttore dell’Unione delle associazioni indipendenti: "Il senso di questa iniziativa è affermare che nessun uomo da solo è intelligente quanto un popolo intero".
     Da febbraio in poi una task-force di esperti analizzerà tutte gli spunti proposti sul sito, e poi a marzo 500 estoni, selezionati a campione in tutte le categorie sociali, parteciperanno ad alcune giornate di discussione. I risultati delle tavole rotonde non rimarranno in qualche archivio, ma saranno posti all’ordine del giorno del governo estone.
(“In Estonia i cittadini scrivono le nuove leggi”, www.today.it)



     Ai più può sembrare strano, ma l’equazione “democrazia uguale elezioni” è abbastanza recente, visto che si è imposta solo con la Rivoluzione Americana.
     Nell’antichità classica, le elezioni venivano considerate uno strumento tipico dell’oligarchia, presupponendo una selezione della classe dirigente che secondo i greci avrebbe tolto a tutti la possibilità di governare la polis.
     Per i greci, lo strumento principe della democrazia era il sorteggio: non era solo una posizione teorica. Ad Atene, ad esempio, il Consiglio dei 500 (Bulé), comitato permanente di governo in nome dell’ecclesia (assemblea generale del popolo) era formato sorteggiando dalle 10 tribù territoriali 50 delegati a cadauna. Ovviamente, per evitare situazioni imbarazzanti, i sorteggiati dovevano superare un’esame.
     Meccanismi analoghi furono in uso nei comuni medievali. A Firenze, per esempio, era prassi comune distribuire le cariche per sorteggio.
     Idee che a noi moderni possono sembrare strampalate, ma che avevano una loro logica, nel volere minimizzare il potere di lobby e di gruppi di interesse.
(Alessio Brugnoli, http://ilcantooscuro.wordpress.com)


Nell’immagine qui accanto, una ricostruzione del Kleroterion.
Era uno strumento usato ad Atene durante il periodo della democrazia per scegliere casualmente, tra seimila aventi diritto, i cittadini che avessero il compito di comporre giurie giornaliere.
Consisteva in una superficie piatta con diverse cavità che contenevano lamine - pinaika - in bronzo, successivamente in legno, con nome, patronimico e nome del demos (villaggio) da cui provenivano (una sorta di documenti di identità) dei cittadini, e in un tubo colmo di sfere di diversi colori che, una volta estratte, avrebbero determinato quali cavità erano da scegliere.



     Abbiamo sopravvalutato le elezioni, considerandole una sorta di sinonimo della democrazia. Sostanzialmente l’unico modo attraverso il quale la democrazia può essere esercitata. Siamo tutti diventati dei fondamentalisti delle elezioni e abbiamo perso di vista la democrazia. L’abbiamo visto anche con le primavere arabe: la rivolta dell’Egitto ha portato con sé elezioni, ma non una democrazia accettabile.
     Siamo alle prese con la democrazia da circa 3 mila anni, ma lo strumento delle elezioni lo usiamo da soli 250. Le elezioni sono state inventate, dopo le rivoluzioni americana e francese, non certo per fare avanzare la democrazia, ma semmai per arrestare e controllare i suoi progressi. Il voto ha permesso di sostituire a un’aristocrazia ereditaria una nuova aristocrazia elettiva.
     Le elezioni hanno portato a vere iniezioni di democrazia fintanto che si allargava il suffragio, esteso a tutti gli uomini e poi a tutte le donne.
     Da decenni ormai il percorso si è di fatto invertito e, soprattutto in Occidente, i cittadini sono stanchi di una partecipazione fondata quasi solo sul voto. C’è una “sindrome di stanchezza democratica” che porta a individuare quattro diagnosi possibili: colpa dei politici, della democrazia, della democrazia rappresentativa o della democrazia rappresentativa elettiva.
     A dare la colpa ai politici sono i populisti. Da Silvio Berlusconi a Geert Wilders e Marine Le Pen ai nuovi arrivati Nigel Farage o Beppe Grillo. Chi critica la democrazia invece vanta i successi della tecnocrazia, evidenti in Cina per esempio, secondo uno schema opposto rispetto ai populisti: invece di privilegiare la legittimità, i tecnocrati puntano all’efficienza. Oppure, ci sono quelli che incolpano la democrazia rappresentativa, come fanno i movimenti come “We are the 99%” e gli “Occupiers” americani o gli “Indignados”. Io invece me la prendo con le elezioni, o meglio con la pigrizia di ridurre tutto al voto.
     Le elezioni sono il combustibile fossile della politica: un tempo erano in grado di stimolare la democrazia, ma ora provocano problemi giganteschi. La nostra democrazia ottocentesca non è più adatta ai tempi. Alcuni esperimenti di estrazione a sorte, negli ultimi anni sono stati condotti un po’ ovunque nel mondo, dalla provincia canadese della British Columbia all’Islanda al Texas a, più recentemente, l’Irlanda.
     A chi critica la mancanza di competenza di persone sorteggiate, dico: perché, quale competenza hanno oggi la maggior parte dei deputati nei nostri Parlamenti? I migliori di loro usano la legittimità offerta dallo status di eletti per chiedere informazioni e consigli agli esperti, e infine decidere a ragion veduta. Niente che non potrebbe fare una persona tirata a sorte. Con il vantaggio fondamentale che i cittadini tirati a sorte sarebbero forse più inclini a dare priorità al bene comune, e non alla propria rielezione.
Altri studiosi, oltre a me, si stanno interessando a questo tema: Habermas, l’americano James Fishkin e i francesi Bernard Manin e Yves Sintomer. È il momento di pensare a una democrazia deliberativa e non più solo elettiva. Quando John Stuart Mill proponeva il voto alle donne, a metà dell’Ottocento, lo prendevano per pazzo. Le novità non ci devono spaventare».
(David Van Reybrouck, storico belga, autore di “Contro le elezioni”;
intervista al Corriere della Sera)


A “Berlino, luogo emblematico per i movimenti sociali benché in regresso. (...) all’avvio, a livello federale, di una politica di riqualificazione urbana basata sulla cooperazione tra i Bund, i Lander e i comuni”, sono stati coinvolti comuni cittadini. “I partecipanti, dopo aver lavorato collegialmente per settimane, pervengono all’approvazione di micro-progetti di riqualificazione urbana. La particolarità dell’esperienza berlinese, rispetto a molte altre, risiede nel metodo dell’estrazione a sorte di una parte dei partecipanti. Questa si attiva secondo una visione molto ponderata del sorteggio, evidenziandone vari pregi quali, ad esempio, la possibilità di coinvolgimento di comuni cittadini che poi vengono sufficientemente informati sotto vari punti di vista, per opera degli animatori della partecipazione. Si può evitare così che intervengano professionisti della politica e della partecipazione (chi partecipa sempre); si può evitare la corruzione, si può favorire la rappresentatività dei cittadini da un punto di vista sociologico, con riguardo ad alcuni criteri guida come l’età, la scolarizzazione, il livello sociale e altro.”
(Carlo Di Marco, “Democrazia, autonomie locali e partecipazione”,
2009, Wolters Kluwer Italia)

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